Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Sezione Lavoro, n. 4084 del 17 febbraio 2025) ha riaffermato un principio fondamentale in tema di salute e sicurezza sul lavoro: il datore di lavoro è responsabile della protezione dei propri dipendenti anche nei casi in cui il rischio fosse conosciuto da tempo, ma non adeguatamente gestito.
Il caso riguardava un lavoratore, impiegato per oltre trent’anni come tubista manutentore, deceduto per mesotelioma pleurico – una forma aggressiva di tumore causata dall’esposizione alle fibre di amianto. Nonostante l’attività si fosse svolta in contesti dove la pericolosità della sostanza era ben nota, la società datrice di lavoro non aveva adottato alcuna misura di prevenzione o protezione
Ciò che rende questa sentenza particolarmente significativa è il richiamo della Corte al dovere di diligenza e prevenzione attiva che incombe su ogni datore di lavoro. Non basta affermare che il rischio non fosse completamente noto all’epoca: le conoscenze scientifiche e normative già presenti dagli anni Sessanta imponevano l’adozione di misure protettive. L’amianto, infatti, era classificato come sostanza insalubre già nel Regio Decreto n. 442 del 1909, e la sua pericolosità era documentata in ambito sanitario e giuridico già con la legge n. 455/1943, il D.P.R. n. 303/1956 e il D.P.R. n. 1124/1965.
La Cassazione ricorda che, ai sensi dell’articolo 2087 del Codice Civile, il datore di lavoro ha l’obbligo di adottare tutte le misure tecnicamente possibili per prevenire i danni alla salute, anche al di là di quanto esplicitamente previsto dalla normativa vigente. Viene così ribadito il principio della “massima sicurezza tecnologicamente possibile”, che impone di aggiornarsi costantemente in base allo sviluppo scientifico e tecnico (Cass. n. 28458/2024; Corte di Giustizia UE, sentenza 15 novembre 2001).
La responsabilità dell’azienda non è stata riconosciuta automaticamente in base alla presenza della malattia. È stata invece accertata sulla base di specifici comportamenti omissivi: assenza di dispositivi di protezione, mancata informazione ai lavoratori, ambienti contaminati e nessuna procedura adottata per contenere l’esposizione.
La Corte ha ricordato che l’esistenza di studi epidemiologici ha dimostrato la correlazione diretta tra la diminuzione dell’esposizione all’amianto e la riduzione dei casi di mesotelioma (Cass. n. 38991/2010). Le misure di prevenzione omesse – come l’informazione, la ventilazione, la separazione delle lavorazioni pericolose – avrebbero potuto evitare o ritardare l’insorgenza della malattia, con un elevato grado di probabilità (Cass. n. 8655/2012).
Questa sentenza rappresenta un precedente importante, perché riafferma che il datore di lavoro non può considerarsi esente da responsabilità se non dimostra di aver fatto tutto il possibile – con diligenza, tecnica e aggiornamento – per prevenire l’esposizione a rischi noti, come nel caso dell’amianto.
Fonti principali:
Cass. Civ., Sez. Lavoro, Ordinanza n. 4084 del 17 febbraio 2025
Cass. Civ., Sez. Lav., n. 28458/2024, n. 38991/2010, n. 8655/2012
Art. 2087 c.c.
D.P.R. 303/1956, artt. 4, 9, 15, 19, 21
D.P.R. 1124/1965, artt. 155 e 174
Corte di Giustizia UE, sentenza 15/11/2001
Legge 455/1943, R.D. 14.6.1909 n. 442
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