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IL RISCHIO RADON NEI LUOGHI DI LAVORO Obblighi normativi e buone pratiche (fonte:HSE Smart S24O)

 

La gestione del rischio di inquinamento da gas radon nei luoghi di lavoro è diventato oltre che un obbligo normativo “valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del DVR”, art. 17 comma 1 del D.Lgs. 81/08), anche unaresponsabilità dei datori di lavoro che si trovano a dover governare il delicato processo di riduzione del rischio trattandosi di un inquinante cancerogeno. Le indicazioni normative tracciano una linea di indirizzo che attualmentenecessita ancora di integrazioni specifiche da adeguare alle possibili casistiche di luoghi di lavoro. Il presente articolo ha lo scopo di tratteggiare un’impalcatura di approccio comune alla problematica da declinare intrecciando gli adempimentidei due Decreti Legislativi di riferimento: D.Lgs. n. 101/2020 e ss.mm.ii. e D.Lgs. n. 81/2008 e ss.mm.ii.

 

Introduzione

Il radon è un elemento chimico naturale, radioattivo e appartiene alla famiglia dei gas nobili. È incolore, inodore,insapore e deriva dal decadimento di tre elementi radioattivi naturali che danno luogo a tre famiglie radioattive: ilThorio-232, l'Uranio-235 e l'Uranio-238.

Il numero di decadimenti radioattivi che si verificano nell’unità di tempo (un secondo) definisce l’attività del nuclide che si misura in bequerel (Bq), 1 Bq = 1 decadimento radioattivo al secondo. Se il radionuclide è allo stato gassoso,come nel caso del radon, si indica l’attività per unità di volume esprimendola in attività specifica = Bq per metro cubo(Bq/m3). Il monitoraggio del gas radon sia nei luoghi di lavoro che nelle abitazioni private è stata caratterizzata negli anni da un crescente interesse supportato da sollecitazioni normative più o meno cogenti, rispettivamente per luoghi di lavoro e le abitazioni private.

L’attuale quadro normativo nazionale è delineato dal D.Lgs. n. 101/2020 e ss.mm.ii., dall’aggiornamento intervenuto con il D.Lgs. n. 203/2022 e dalle recenti indicazioni presenti nella prima pubblicazione del Piano Nazionale di Azione per il Radon (PNAR) successivo alla pubblicazione del D.Lgs. n. 101/2020.

Inoltre, in alcuni territori si dà evidenza della presenza e operatività di normative più stringenti per taluni aspetti, come ad esempio l’integrazione della progettazione preventiva per il rischio radon in edifici di nuova realizzazione/da ristrutturare, espressione della volontà di Enti Regione particolarmente sensibili (a titolo di esempio Lombardia,Puglia).


Novità introdotte dalla normativa nazionale

Il Decreto Legislativo n. 101/2020 e ss.mm.ii. in vigore sull’intero territorio nazionale recepisce l’indicazione dellaDirettiva EURATOM 59/2013 per il valore di concentrazione di attività di gas radon annua in aria in ambiente chiuso pari a 300 Bq/m3, definito in termini di “livello di riferimento”.

Le novità rispetto al precedente approccio sono in particolare presenti nel Titolo IV del D.Lgs. n. 101/2020 e ss.mm.ii. e riguardano la regolamentazione della protezione dal radon sia nei luoghi di lavoro sia negli ambienti di vita. In entrambi i casi si tratta di situazioni di esposizione esistente (situazioni di esposizione che già esistono quando deveessere presa una decisione sul controllo - ICRP 103). Inoltre, il concetto di livello di riferimento (LdR), che va a sostituire quello di livello di azione, si configura come lo strumento operativo che spinge all’applicazione dell’ottimizzazione della protezione anche quando non viene necessariamente superato. l livelli di riferimento,dunque, sono adottati per contribuire ad assicurare che tutte le esposizioni siano tenute basse quanto ragionevolmentepossibile (Principio ALARA – As Low As Reasonably Achievable), tenendo presenti i fattori sociali ed economici.

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Decreto PNRR, al via la patente a punti nei cantieri temporanei o mobili

 Guida al Lavoro|22 marzo 2024|n. 12|p. 33-34|di Giuseppe Pirinu

Tra le novità del decreto PNRR l'introduzione di una "patente a punti" per contrastare il lavoro sommerso e vigilare in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro

Tra le novità del decreto PNRR l'introduzione di una "patente a punti" per contrastare il lavoro sommerso e vigilare in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro

La recrudescenza di infortuni sul lavoro con esito talvolta mortale e l’ormai evidente disapplicazione - in taluni contesti - della normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro ha spinto l’esecutivo, ancora una volta, a intervenire con fermezza sull’argomento. Lo fa attraverso il D.L. 19/2024. L’art. 29 interviene sulla materia con una serie di provvedimenti, tra gli altri il ritorno alle sanzioni penali in caso di somministrazione e distacco illecito di manodopera. L‘argomento che ci occupa è regolato dal comma “19” del già menzionato art. 29 e introduce un importante strumento per le imprese e i lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei o mobili. Il provvedimento riscrive l’art. 27 del D.Lgs. 81/2008 ed è rubricato “Sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi tramite crediti” guadagnandosi così l’appellativo di “Patente a Punti”. Il mancato possesso di questo documento rilasciato in formato digitale dall’INL o la presenza di un punteggio insufficiente comporta - tra l’altro - il pagamento di una sanzione amministrativa da sei a dodicimila euro.

I soggetti obbligati alla patente a punti - Dal 1° ottobre 2024 saranno tenuti al possesso della patente le imprese e i lavoratori autonomi che operano nei cantieri temporanei o mobili di cui all’art. 89, c. 1, lett. a) D.Lgs. 81/2008 ovverosia in quelli che comunemente chiamiamo “cantieri edili”. Si tratta di tutte le attività classiche di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione di opere fisse permanenti e temporanee. Sono comprese anche le opere di conservazione, risanamento, ristrutturazione o equipaggiamento, trasformazione, rinnovamento o smantellamento delle stesse con utilizzo di cemento armato, metallo, legno e materiali vari da costruzione. Ma non si tratta solo di cantieri edili in senso stretto. Sono ricomprese infatti anche le opere stradali, ferroviarie, idrauliche, marittime e idroelettriche oltre le parti strutturali delle linee ed impianti elettrici. Le opere di bonifica e sistemazione forestale e di sterro solo per la parte che comporta lavori edili o di ingegneria civile. Sono, inoltre, tenuti alla patente a punti i lavoratori - come sopra identificati - che svolgono la loro attività in opere di costruzione edile o di ingegneria civile negli scavi e nel montaggio e smontaggio di elementi prefabbricati utilizzati per la realizzazione di lavori edili. La patente è rilasciata in formato digitale dalla sede Territoriale dell'Inl. Condizione per il rilascio è che i legali rappresentanti dell’impresa o i lavoratori autonomi siano in possesso dei seguenti requisiti:

  • iscrizione alla camera di commercio industria e artigianato;
  • adempimento, da parte del datore, dei dirigenti, dei preposti e dei lavoratori dell'impresa, degli obblighi formativi di cui all'articolo 37 D.Lgs. 81/2008 (formazione dei lavoratori e loro rappresentanti);
  • adempimento, da parte dei lavoratori autonomi, degli obblighi formativi ex D.Lgs. 81/2008;

›   possesso del documento unico di regolarità contributiva in corso di validità (DURC);

  • possesso del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR);
  • possesso del Documento Unico di Regolarità Fiscale (DURF).

Quanto al DURF (Documento Unico di Regolarità Fiscale), bisognerà mettere nel conto che le imprese e i lavoratori autonomi dovranno garantire non solo la regolarità contributiva (quella che oggi necessita per avere il DURC) ma anche quella in materia fiscale. In altri termini bisognerà essere in regola con i versamenti e gli adempimenti ai fini delle imposte dirette e indirette (IRPEF, IRPEG, IRAP, IVA etc.) È l’Agenzia delle Entrate deputata a rilasciare tale documento previo verifica della regolarità dei già menzionati adempimenti e versamenti. L’istituto non rappresenta certamente una novità poiché è già da tempo utilizzato nell’ambito di talune tipologie di appalto.

Il meccanismo di funzionamento dei crediti - A regime, in attesa del rilascio della patente, sarà comunque consentito lo svolgimento dell’attività lavorativa salvo non sia l’Ispettorato del lavoro a disporre diversamente. Il documento viene “caricato” con una dote iniziale di 30 punti e costituisce una sorte di “white card” che consente agli operatori di avere accesso ai cantieri. Accesso che non è consentito se i punti scendono sotto la soglia dei quindici per effetto di provvedimenti definitivi accertati in seguito al riscontro delle seguenti infrazioni:

  • violazioni di cui all'All. I D.Lgs. 81/2008: 10 crediti;
  • accertamento delle violazioni che espongono i lavoratori ai rischi ex All. XI D.Lgs. 81/08: 7 crediti;
  • provvedimenti sanzionatori di cui all'art. 3, cc. 3 e seguenti, DL 22 febbraio 2002, n. 12, conv., con modificazioni, dalla legge 23.4.2002, n. 73 (maxi-sanzione lavoro nero): 5 crediti;
  • responsabilità del datore in caso di infortunio che abbia avuto per conseguenza:
  1. la morte: 20 crediti;
  2. un'inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale: 15 crediti;
  3. un'inabilità temporanea assoluta che importi l'astensione dal lavoro per più di 40 giorni: 10 crediti.

Sarà l'Ispettorato Nazionale a definire criteri, termini e procedure del provvedimento di sospensione. In caso di infortunio mortale o inabilità permanente al lavoro - assoluta o parziale - la competente sede territoriale dell'Ispettorato potrà sospendere in via cautelativa la patente fino a 12 mesi. A quest’ultimo organismo si dovrà rivolgere il soggetto che ha formato gli atti ispettivi dell’infortunio entro trenta giorni dalla notifica ai destinatari. A quel punto l’Ispettorato entro trenta giorni provvede alla comunicazione di decurtazione dei crediti all’impresa o lavoratore autonomo responsabile. Nell’ambito del medesimo accertamento non possono essere decurtati più di 20 punti.Con un sistema molto simile a quello “automobilistico” la frequenza di appositi corsi da parte del trasgressore (così come l’assenza di ulteriori infrazioni nel caso degli automobilisti con punti decurtati dalla patente) consente il reintegro di quanto perduto. Ogni corso garantisce il recupero di un “bonus” pari a cinque crediti. Condizione per il “recupero” formale di quanto perduto è che il trasgressore invii copia dell’attestato di frequenza del corso alla competente sede dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro. I crediti riacquistati non possono superare complessivamente il numero di quindici. Qualora l'impresa o il lavoratore autonomo - destinatari di provvedimenti di decurtazione - non siano oggetto di ulteriori provvedimenti, e siano trascorsi due anni dalla notifica di questi, è possibile - previo invio alla competente sede dell’INL di copia dell’attestato di frequenza di uno dei corsi - incrementare la patente di un credito per ciascun anno successivo al secondo sino a raggiungere un massimo di 10 crediti. Di cinque crediti, invece, è incrementato il punteggio in caso di soggetti che adottino i modelli “organizzativi e di gestione” di cui all’art. 30 del D.Lgs. 81/2008. Procedure e modalità di presentazione della richiesta di rilascio della patente e contenuti informativi della stessa verranno chiariti in un Decreto del Ministero del Lavoro.

Il regime sanzionatorio - Un’impresa o un lavoratore autonomo privi della patente - o con una dotazione in crediti inferiore a 15 - non potranno accedere al cantiere, salvo il completamento delle opere - si ritiene per ovvi motivi di sicurezza - in corso al momento della decurtazione dei crediti e il pagamento di una sanzione amministrativa da euro 6.000 ad euro 12.000, non soggetta alla procedura di diffida. È prevista, altresì, l'esclusione dalla partecipazione ai lavori pubblici per un periodo di sei mesi. Le informazioni relative alla patente confluiscono in un'apposita sezione del portale nazionale del sommerso di cui all'art. 19 DL 30.4.2022, n. 36 conv. dalla legge 29.6.2022, n.

79. Non sono tenute al possesso della patente le imprese in possesso dell'attestato di qualificazione SOA.

Conclusioni - Per espressa previsione normativa le disposizioni sulla patente a punti possono essere estese ad altri ambiti di attività da individuarsi con decreto del Ministro del Lavoro. Ciò avverrà sulla base di accordi da stipularsi a livello nazionale dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei datori di lavoro e dei dipendenti. Questo evidenzia che la linea è tracciata. È evidente, infatti, la volontà dell’esecutivo di arginare il più possibile il fenomeno della mancanza di sicurezza, non solo nei cantieri ma in tutte quelle attività che espongono i lavoratori a rischi per la loro salute e sicurezza. Una tendenza positiva della quale pare giusto prendere atto.

Sicurezza in cantiere, l’Inail segnala 18 macchine a rischio infortunio

 

18 schede tecniche dedicate ad altrettante attrezzature e macchine per l’edilizia e le costruzioni, dalla tagliatrice a filo diamantato alla perforatrice idraulica, dalla benna miscelatrice alla pala gommata, dallo spargitore alla intonacatrice. È questo il cuore dell’ultima pubblicazione tecnica dell’Inail dedicata alle macchine e alle attrezzature per le costruzioni, e in particolare all’«accertamento tecnico» per la sicurezza. Il valore della pubblicazione - dal taglio spiccatamente operativo - non sta tanto nelle descrizioni e nelle indicazioni per il corretto utilizzo di macchine e attrezzature; e neanche nella completezza di tutti i riferimenti alla normativa tecnica, elementi comunque utili. Il principale pregio di questo libretto sta invece nella messa a frutto di tutta la pregressa esperienza dell’Inail sugli infortuni specifici legati alle molte attività che si svolgono in cantiere. Un’esperienza che viene appunto condivisa sotto forma di informazioni puntuali, chiare e sintetiche e che va a “pizzicare” diversi modelli di macchine e attrezzature in circolazione che presentano rischi di infortunio a causa di varie “non conformità”, cioè caratteristiche che non rispettano le norme tecniche.

Le schede non contengono marchi e modelli, ma - nonostante i documenti siano stati resi anonimi «recuperando esclusivamente le informazioni tecnicamente utili, senza alcun riferimento a dati sensibili» - viene comunque fornita «un’informazione sufficiente per indirizzare eventuali interventi di approfondimento sulle macchine da verificare». Tra le informazioni rilevanti c’è per esempio l’anno di immissione in commercio. In altre parole, anche senza indicare marchi è possibile individuare e riconoscere i mezzi rischiosi. La pubblicazione si rivolge principalmente al personale dell’impresa ma evidentemente è anche molto utile al personale ispettivo e agli stessi produttori.

Alcuni casi aiutano a capire l’utilità di questo testo. In una perforatrice idraulica del 2009 viene per esempio individuato un rischio di infortunio mortale: non un rischio teorico ma un rischio concreto perché effettivamente verificatosi e denunciato all’Inail. Il rischio non risiede nella fase di utilizzo bensì in quella dello spostamento della macchina (traslazione). O, più correttamente, nello spostamento della macchina non correttamente posizionata nel suo elemento telescopico e nel relativo supporto (slitta). La foto di una perforatrice ribaltata su un terreno in pendio aiuta sicuramente a memorizzare l’avvertimento. La causa del rischio sta nell’assenza di un «dispositivo che impedisca la traslazione della perforatrice se la slitta di perforazione non è in posizione di riposo (posizione orizzontale) ovvero non è dotata di comando remoto che tenga l’operatore a distanza».

Un altro caso di infortunio - in questo caso non mortale - suggerisce all’Inail di segnalare un rischio che riguarda un escavatore cingolato compatto in commercio dal 2007. Il problema, in questo caso, sta nel possibile azionamento accidentale dei comandi per la traslazione del mezzo. Il produttore, spiega l’Inail, ha previsto dei dispositivi contro l’azionamento accidentale delle leve della benna ma non per i pedali che azionano i cingoli. Anche in questo caso si denuncia la non conformità del mezzo (in particolare ai punti 4.4.2.3 della norma armonizzata EN 474-1:1994 e al punto 4.2.1.1.3 della norma armonizzata EN 474-5:1996)

Ancora un infortunio mortale risulta causato da un micro caricatore compatto (skid steer loader) in commercio dal 2004. La situazione segnalata è abbastanza articolata. Il rischio, in questo caso, è legato a vari fattori (scarsa visibilità in caso di retromarcia, assenza di dispositivi di avvertimento acustico e assenza di specchietti retrovisori) ma solo in alcune macchine (solo per quelle prodotte dopo il 30 novembre 2008). Spigolando nelle schede c’è anche da rimanere perplessi. Per esempio, nel caso del citato skid steer loader, il produttore ha spiegato che l’avvisatore acustico mancante - cioè il clacson - sarebbe in realtà previsto ma solo «come accessorio», cioè come optional a richiesta.

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Ambiente di lavoro stressogeno, oneri e rischi per il datore di lavoro

 Guida al Lavoro|15 marzo 2024|n. 11|p. 30-32|di Vittorio Moresco, Flavio Parigi

La Cassazione enfatizza l'onere dei datori di lavoro di adottare appositi sistemi di verifica periodica circa l'esistenza di un effettivo ambiente di lavoro più salubre possibile (anche sotto il profilo stressogeno) e strumenti che consentano al personale di segnalare eventuali situazioni critiche

L

a Cassazione enfatizza l'onere dei datori di lavoro di adottare appositi sistemi di verifica periodica circa l'esistenza di un effettivo ambiente di lavoro più salubre possibile (anche sotto il profilo stressogeno) e strumenti che consentano al personale di segnalare eventuali situazioni critiche

La Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, con ben sei distinte ordinanze emesse tra il gennaio e il febbraio 2024 (Cass., 19 gennaio 2024, n. 2084; Cass., 31 gennaio 2024, n. 2870; Cass., 12 febbraio 2024, n. 3791; Cass., 12 febbraio 2024, n. 3822; Cass., 12 febbraio 2024, n. 3856; Cass., 16 febbraio 2024, n. 4279) si è espressa nel senso che, anche in assenza dei presupposti del lamentato mobbing, il giudice è tenuto comunque ad accertare se: (i) il lavoratore si è trovato ad operare in un ambiente di lavoro caratterizzato da situazioni lavorative stressogene e/o conflittuali, (ii) a ragione di tale ambiente di lavoro, il lavoratore ha subito danni e, (iii) il datore di lavoro ha – così come imposto dall’art. 2087 Cod. Civ. – adottato tutte le misure necessarie per prevenire o, comunque, contrastare il realizzarsi di detto ambiente lavorativo “nocivo”.

Con tali pronunce, i giudici di legittimità hanno quindi dettato importanti principi per la decisione di controversie aventi ad oggetto domande inerenti ambienti lavorativi caratterizzati da situazioni conflittuali, stressogene e/o vessatorie, indipendentemente dalla sussistenza della fattispecie del mobbing. In particolare, l’orientamento del Supremo Collegio è chiaro nel senso che il giudice chiamato a pronunciarsi su domande di questo tipo deve considerare il complessivo contesto lavorativo, per ravvisare eventuali situazioni che – pur non integrando fattispecie tipiche (quali il mobbing, lo straining, ecc.) – possono rappresentare violazione dell’obbligo del datore di lavoro di assicurare un contesto lavorativo sicuro e salubre.

Il fatto in causa e i motivi della decisione

In una di queste ordinanze (Cass., 12 febbraio 2024, n. 3791) i giudici di legittimità si sono pronunciati in merito al caso di una lavoratrice – impiegata con funzioni di assistente amministrativa – che aveva convenuto in giudizio il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca lamentando di essere stata sistematicamente oggetto di condotte mobbizzanti tenute dal collega per il quale svolgeva la sua attività e di aver, conseguentemente, subìto gravi danni di natura patrimoniale e non patrimoniale.

Il Tribunale, prima, e la Corte di Appello, poi, avevano respinto le domande della lavoratrice sul solo presupposto che gli elementi in atti non avevano consentito di ravvisare i presupposti tipici e caratterizzanti il mobbing lamentato.

Il Supremo Collegio ha ritenuto che, così decidendo, i giudici di secondo grado avevano palesemente violato – come lamentato dalla lavoratrice ricorrente – gli artt. 2087 e 2697 Cod. Civ..

A tal fine, i giudici della Suprema Corte, ribadendo il proprio costante orientamento in materia (si citano, in sentenza, Cass., n. 3692/2023 e Cass., n. 3291/2016), hanno preso le mosse dalla considerazione che - pur in assenza di prova della sussistenza dei requisiti caratterizzanti tipiche condotte di mobbing - il giudice di merito è sempre e comunque tenuto a verificare se il comportamento del datore di lavoro abbia consentito, "anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori, lungo la falsariga della responsabilità colposa del datore di lavoro che indebitamente tolleri l’esistenza di una condizione di lavoro lesiva della salute, cioè nociva, ancora secondo il paradigma di cui all’art. 2087 c.c.".

La Suprema Corte ha, quindi, osservato come, in controversie quali quelle in esame, occorre comunque considerare le previsioni di cui all'articolo 2087 Cod. Civ., che, per usare le parole della sentenza qui commentata - pur non prevedendo “una vera e propria ipotesi di responsabilità di natura oggettiva in capo al datore di lavoro per i danni subiti dal lavoratore a causa dell’esecuzione della prestazione lavorativa” - impone al datore di lavoro l’onere di adottare tutte quelle "misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro(v. Cass. n. 24804/2023; Cass., n. 34968/2022; Cass., n. 33239/2022; Cass., n. 29909/2021; Cass., n. 14192/2012; Cass., n. 4184/2006)”.

Sul punto, i giudici di legittimità precisano come, tra le “misure” che il datore di lavoro deve adottare, rientrano anche “la prevenzione e, ove possibile, anche la rimozione di un “contesto di conflittualità all’interno dell’Istituto” dovuto al contrasto tra dirigente scolastico e responsabile dei servizi amministrativi”, con la conseguenza che – come espressamente affermato in un proprio precedente (Cass., n. 26684/2017) – il datore di lavoro deve intervenire per “ripristinare la serenità necessaria per il corretto espletamento dell’attività lavorativa”.

Sulla base di tali premesse, i giudici di legittimità hanno ritenuto che la Corte di Appello:

a)  richiamando la giurisprudenza sul punto, aveva sì correttamente rilevato che, per poter supportare le domande della lavoratrice – e, quindi, dimostrare l’esistenza del mobbing - era necessario provare tanto l'elemento oggettivo ("una serie di comportamenti di carattere persecutorio, con intento vessatorio…posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo") quanto l’elemento soggettivo (inteso come "l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi" attribuibili all’asserito autore delle condotte denunciate), con la conseguenza che, in assenza anche solo di uno di tali presupposti, non è ravvisabile una condotta mobbizzante;

b)  ma non aveva, invece, verificato se – in base alle rispettive allegazioni e, comunque, agli elementi in atti – era comunque possibile ravvisare una violazione degli obblighi di cui all’art. 2087 Cod. Civ. sotto forma di un ambiente di lavoro “insalubre” (anche sotto un profilo “stressogeno”) che, invece, il datore di lavoro avrebbe dovuto prevenire o sul quale avrebbe dovuto intervenire prontamente per ristabilirne la piena “serenità”.

In particolare, la Suprema Corte ha censurato la sentenza resa dalla Corte di Appello giacché – come lamentato dalla lavoratrice ricorrente – in violazione dell’art. 2087 Cod. Civ. si era limitata ad escludere l’esistenza del mobbing senza però accertare se, nel caso di specie, era comunque ravvisabile, a carico del datore di lavoro, un inadempimento agli obblighi previsti dalla disposizione codicistica in questione né il nesso causale tra le condizioni di lavoro e il danno alla salute lamentato dalla lavoratrice.

Secondo la Suprema Corte, nel caso di specie, tale omesso accertamento risultava ancor più evidente, considerato che gli stessi giudici di appello avevano rilevato che era – addirittura – “pacifico” che il contesto lavorativo fosse effettivamente caratterizzato da forte conflittualità e, al tempo stesso, la relativa potenzialità dannosa era stata confermata dalla CTU disposta in primo grado (“il rilievo traumatico delle condotte …sarebbe stato …pienamente confermato dalla c.t.u. svolta nel primo grado di giudizio” (pag. 5 della sentenza impugnata)”).

Osservazioni conclusive

La pronuncia in esame, quindi, conferma come – secondo i giudici di legittimità - la sussistenza di una responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell'articolo 2087 Cod. Civ. non richiede necessariamente un atteggiamento attivo/intenzionale del datore di lavoro: è, infatti, sufficiente che il datore di lavoro abbia, seppur anche solo colposamente, permesso il mantenimento di un ambiente di lavoro che costituisce fonte di stress per i dipendenti e conseguente causa di danno alla salute dei medesimi.

Tali principi, del resto, trovano diretto e oggettivo supporto nella circostanza che il nostro legislatore ha già previsto come (indipendentemente dalla natura dell’attività e/o dalle dimensioni dell’impresa) la presenza di situazioni stressogene – anche se non patologiche, come l’esistenza di conflitti tra dipendenti che travalicano i limiti di un ordinario confronto, anche serrato, tra colleghi su tematiche puramente lavorative – è un aspetto fondamentale da considerare ai fini della tutela della salute e sicurezza sul lavoro; invero, l’articolo 28 del D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, prevede espressamente che il documento di valutazione dei rischi (DVR) deve obbligatoriamente contenere anche un’apposita sezione inerente i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori derivanti dal c.d. “stress lavoro- correlato”.

A tale riguardo, è bene anche considerare che un accertamento giudiziale inerente il rispetto dell’art. 2087 Cod. Civ., determina anche una diversa ripartizione dell’onere probatorio: invero, se la parte che lamenta il mobbing è tenuta a provare i relativi presupposti (comportamenti vessatori, tenuti sistematicamente e per lungo tempo, con l’unico intento di perseguire il destinatario degli stessi), ai fini dell’art. 2087 Cod. Civ., è il datore di lavoro convenuto che deve dimostrare di aver adottato tutte le misure oggettivamente disponibili per escludere – o limitare al massimo, secondo il livello di conoscenze in quel momento disponibili – la sussistenza di un ambiente lavorativo insicuro e/o insalubre per l’integrità psico-fisica del proprio dipendente.

In tale contesto, le recenti pronunce della Suprema Corte enfatizzano l’onere dei datori di lavoro – non solo di rivedere periodicamente la sezione “stress lavoro-correlato” del proprio DVR (e relativi riflessi anche rispetto al Modello Organizzativo ex D.lgs. 231 del 2001) ma anche e soprattutto – di adottare appositi sistemi di verifica periodica circa l’esistenza di un effettivo ambiente di lavoro più “salubre” possibile (anche sotto il profilo “stressogeno”) e strumenti che consentano al personale di segnalare eventuali situazioni critiche ed al datore di lavoro (e relative funzioni aziendali competenti) di poter intervenire tempestivamente.


L'ESPERTO RISPONDE

 

Sicurezza sul lavoro: rischi interferenziali

13 marzo 2024 fascicolo n. 140

 

 

D. Sono RSPP esterno di un'azienda facente parte di un gruppo di 4 aziende aventi un unico datore di lavoro. I dipendenti delle 4 aziende operano anche in spazi condivisi e per attività similari; come devo gestire i rischi da interferenza e l'utilizzo di mezzi di proprietà di una azienda dal personale di un'altra? devo fare delle segnalazioni particolari al datore di lavoro?

Il fondamento logico e giuridico sotteso alla valutazione del rischio interferenziale, ed alla conseguente predisposizione del DUVRI, è rappresentato dalla presenza di più imprese con datori di lavoro diversi (impresa/datore di lavoro committente, imprese appaltatrici, lavoratori autonomi) che operino contemporaneamente in un unico ambito lavorativo (ed infatti il testo unico dispone l’obbligatorietà di allegare il DUVRI al contratto d’appalto o contratto d’opera). Ed è proprio la diversità dei soggetti che giustifica la previsione, contenuta nell’articolo 26, comma 2, del D.Lgs 81/08, che impone al datore di lavoro:

  1. di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto;
  2. coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva.

Nel caso da voi prospettato non sembrano sussistere queste condizioni, trattandosi di un unico datore di lavoro. Pertanto, ai fini della sicurezza, occorrerà verificare che siano state attivate tutte le misure preventive eprotettive attinenti la tutela dei lavoratori e la riduzione dei rischi (es. corretto uso delle attrezzature conformi, utilizzo dei D.P.I. ove necessario, informazione e formazione dei lavoratori, procedure per il pronto soccorso e la gestione delle emergenze etc) e predisposto un documenti di valutazione dei rischi per ciascuna delle quattro aziende, pur se a firma dello stesso soggetto.

 

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